La Sicilia in Umbria arancini e cannoli a Santa Maria degli Angeli

Le abitudini culinarie sono impossibili da scalfire: gli italiani cercherebbero la pasta anche in cima al Tibet, i francesi non sanno fare a meno dei loro formaggi, i più puzzolenti del mondo, i tedeschi della birra, possibilmente nera doppio malto, e dunque è normale che noi umbri vorremmo sempre avere in tavola l’olio delle nostre colline, ci arrabbiamo quando chiamano “torta al testo” una piadina un po’ più gonfia o quando scopriamo che al Lago di Garda non sanno cos’è la regina in porchetta.

Proprio seguendo il filo di questi ragionamenti Giustino Tomasino, fornaio da sempre, siciliano di Misilmeri, ha capito che pane al sesamo, cannoli, arancini, cassate, ravazzate e sfincioni si sarebbero venduti meglio in Continente, andando a cercare i siciliani invece di aspettarli. E così, nel giro di pochi anni ha creato una “enclave” nella zona residenziale di Santa Maria degli Angeli, villette basse, strade pulite, pratini rasati, una piccola Svizzera, all’interno della quale il suo profumatissimo forno è meta di siciliani residenti in Umbria ma anche di fuori regione.

«Acquistano soprattutto il pane al sesamo, il pane tipico siciliano fatto con semola rimacinata di grano duro, nutriente, energetica e molto digeribile. I miei corregionali che abitano nel giro di una decina di chilometri vengono quasi tutti i giorni, gli altri si organizzano e arrivano alla domenica, delle vere e proprie carovane: da Magione, Spoleto, Foligno, Castiglione del Lago, ovviamente Perugia. Un gruppo arriva da Fano e compera 20-30 filoncini per volta. Se lo portano a casa, lo surgelano e così ce l’hanno in tavola per parecchi giorni. Una volta si affidavano a parenti e amici che salivano da giù, oppure ai rifornimenti fatti durante le feste, adesso ci sono io, che modestamente so come si fanno “a vastedda” e “a vastedduzza”, rotonde e soffici, mentre “u pistuluni” è di forma allungata e più cotto. Coi semini di sesamo sopra, sempre croccanti ogni volta che si mettono in bocca».

Alle sette di sera nella piccola panetteria ancora entrano clienti, e manco si fossero messi d’accordo per compiacere Giustino, gran parte sono siciliani, che ovviamente parlano siciliano sentendosi un po’ a casa. Lui, come tutti i fornai che dormono al contrario, s’è alzato da poco, ogni tanto strizza gli occhi un po’ stanchi e indica la moglie, la signora Angela, che conferma: «È sempre così, ma devo dire che adesso i nostri prodotti sono apprezzatissimi anche dagli umbri. Prima erano un po’ diffidenti, giustamente, volevano sapere cos’erano questi “cosini” sopra al pane, se la ricotta dei cannoli era fresca o se lo spincione non fosse troppo pesante. Sa, sopra la base ci va la salsa di pomodoro cotta con acciughe, origano, cipolla e formaggio “primo sale”. Sembra tanta roba, ma miscelata bene viene fuori un gusto delicato. Ormai ce la ordinano anche per rinfreschi e cerimonie. Si sono tutti “sicilianizzati”…».

Inutile chiederle se ha mai pensato di fare altro nella vita…

«Infatti, inutile. Era tutto scritto. E non solo perché abitavamo al piano superiore del forno, ma fin da bambino amavo questi odori: il pane, il lievito, i dolci. E dopo la bisnonna Maria, che si era rimboccata le maniche quando gli uomini di casa emigrarono in America, toccò a nonno Giusto, uno che “vedeva le cose dritte”, come diciamo noi. Il mestiere me l’ha insegnato lui. Papà Antonino, invece è sempre stato un po’ restio a tirare avanti il mestiere e quando avevo appena 6 mesi ci portò tutti a Chicago, dove si mise a fare il tipografo. Tornammo a Misilmeri che avevo 3 anni e mentre lui andava e veniva, tanto da diventare cittadino americano, io cominciai a scendere sempre più frequentemente al piano inferiore e fare i primi filoncini. A 18 anni presi ufficialmente in mano l’attività al posto del nonno, poi conobbi Angela. Pur di stare insieme organizzammo una “fuitina”, lei aveva poco più di 16 anni e per 5 giorni ci rifugiammo in una casa di campagna. Poi i genitori ci hanno perdonato, lei è venuta a stare da noi e quando è diventata maggiorenne ci siamo spostati. Ha sposato me e il lavoro. È una bravissima fornaia».

Giustino, perché l’Umbria, perché Santa Maria degli Angeli?

«La verità? Volevo andare in America, a Los Angeles, per aprire un forno. Angela era d’accordo, pensavamo fosse facile avere i documenti, vista la cittadinanza di mio padre. Invece il tempo passava e non succedeva niente. Allora saliti da un mio cugino che viveva qui ed abbiamo cambiato programma. Ma per qualche anno ho fatto il dipendente nel forno Duranti di Ponte San Giovanni, dove il signor Carmelo, un tipo un po’ come mio nonno, mi ha insegnato a fare i prodotti della vostra regione: dal filone alla torta di Pasqua. Un po’ lì, un po’ di nuovo a Misilmeri, finché nel 2006 non ci siamo decisi, comperando casa a Bastia e il negozio a Santa Maria. Lei non ci crederà, ma appena firmati gli atti dal notaio è arrivata la lettera dell’Ambasciata, potevamo partire per Los Angeles. Ovvio che siamo restati, abbiamo chiamato il forno “Panetteria degli Angeli”, omaggio al nostro nuovo paese ed al sogno americano».

Detto del pane al sesamo e dello sfincione, cos’altro si produce di siciliano?

«Ovviamente cannoli e arancini. I cannoli vengono fatti espressamente, all’istante, con ricotta di pecora che arriva dalla Sicilia e pezzetti di cioccolato fondente. Un solo candito, all’arancia, nella parte esterna assieme allo zucchero a velo. Poi gli arancini, sia i classici con ragù e piselli, sia altre varianti con prosciutto e mozzarella, funghi e spinaci, carciofi e salsiccia. Non mancano mai i grissini al sesamo, la cassata, le delizie, i dolcetti di pasta di mandorle con all’interno confettura all’arancia, le brioches con qualsiasi cosa, anche col gelato, la sfinge di San Giuseppe, un bigné fritto, con ricotta e scorza d’arancio, e due cose veramente speciali: la torta gelato e la ravazzata. Le torte gelato artigianali, rotonde o a tronchetto, da noi sono una consuetudine estiva, per feste o semplicemente dessert. Ora vedo che stanno prendendo piede anche qui. Noi facciamo una base di pan di Spagna, strato di gelato a richiesta, ancora pan di spagna, rum e panna fresca per guarnizione. Vanno a ruba, anche suddivise con più gusti di gelato. La ravazzata, invece è uno spiedino nel quale si infilano alternativamente pezzetti di pan carré e lo stesso ragù degli arancini, poi viene tutto passato in una lega di farina, acqua e sale, besciamella e infine fritto».

Quanto le manca la Sicilia?

«All’inizio tantissimo, il sole, il mare, il caldo. I primi tempi, una notte, mentre andavo a lavorare mi trovai in mezzo alla nebbia, ma pensavo che i contadini avessero acceso dei fuochi per bruciare le stoppie, pensavo fosse fumo. Mai vista la nebbia in vita mia. Adesso mi sono abituato, i nostri figli Dalila e Antonino (21 e 19 anni) si sono integrati perfettamente. Solo a me e Angela mancano un po’ le tavolate coi parenti durante le feste, i pranzi che non finiscono mai. Sa, noi siciliani siamo buone forchette…».

Leave a Reply

Be the First to Comment!

Notify of
avatar
wpDiscuz